sabato 14 settembre 2013

Il volto dell'Europa e la meteorologia politica


Mentre si invoca la ripresa, raccontandoci di stare comodi che essa sta arrivando, i dati europei sulla produzione industriale sia dell'area Euro che di tutta l'Europa non sono per niente una conferma delle parole che i nostri dirigenti politici e ministeriali proferiscono affannosamente.




La produzione industriale è diminuita dell'1,5% nell'area Euro, e dell'1% in tutta Europa a Luglio rispetto a Giugno, e del 2,1% e 1,7% rispettivamente su base annua. I nostri meteorologi avevano previsto un aumento.
Tutte le categorie sono in discesa: i beni d'investimento, i beni di consumo durevoli, i beni di consumo non durevoli, i beni intermedi, l'energia. In Germania la produzione è scesa del 2,3%, il nostro dell'1,8%, la Grecia del 2,8%, il Portogallo del 3,2%, Malta del 6,7%, l'Irlanda dell'8,7%.

Certo, si tratta solo della produzione industriale, e non di tutta l'economia... ma non possiamo essere d'accordo che con Squinzi, che ormai si sgola nel dire che la ricchezza è solo quella realmente prodotta e deposita nei territori, e che verso questa dovrebbero essere investiti tutti gli sforzi.
Il tratto di lungo termine che emerge dal grafico di sopra, dei dati che vanno dal 2004 al 2013, mostra la rincorsa dell'Euro (soprattutto) quando la moneta cresceva sugli alberi e i Paesi più indebitati e senza capacità produttiva potevano ed ottenevano tutti i prestiti che chiedevano senza limite alcuno, e all'esplosione della crisi finanziaria e di sistema mondiale il crollo appena poi sostenuto da un incompleto recupero per poi procedere verso un lento declino.
Notate che la produzione industriale è adesso più bassa di quella del 2004.

Questo è il quadro generale, ma se analizziamo la forza delle economie dei Paesi europei emerge un quadro ancora più sconsolato, derivante dalla ormai radicale diversità competitiva dei differenti membri.


Il riquadro di sopra crediamo non abbia bisogno di nessun ulteriore commento nel chiarire la realtà della situazione europea, e della sua incapacità a definire una chiara, determinata e praticabile integrazione politico-sociale ed economica che ci faccia uscire dalla secca finanziaria e monetarista che finora ci ha guidato e che ha trovato il sostegno di amplissimi spazi politici di ogni parte ideologica.

Il declino inesorabile dei prezzi, reali e nominali, delle abitazioni in Grecia, che già sta interessando anche l'Italia e gli altri Paesi mediterranei europei, è una evidente presagio di quello che ci attende e che adesso solo si annuncia: una perdita di ricchezza immobilizzata da parte delle famiglie che in questi anni hanno preferito spendere i loro denari nella rendita immobiliare (ed anche azionaria) e non negli investimenti che aumentassero il valore degli immobili già posseduti attraverso l'efficienza energetica ed abitativa. A breve gli italiani si renderanno conto che la casa che hanno acquistato anni addietro con il mutuo non solo è rimasta sul mercato vendibile con lo stesso valore, ma che anzi essendo intervenuta solo nel Giugno 2012 l'obbligatorietà di costruire edifici energeticamente efficienti la loro casa sta inesorabilmente perdendo valore, ed il mutuo che stanno pagando è andato solo a beneficio degli intermediari finanziari.

In Italia, come si evince dai grafici a sinistra, dopo un sussulto da ultimo respiro economico, l'unica macroregione che tiene è il NordEst. Il resto del Paese collassa non sia per la forte diminuzione della domanda interna ma anche per la diminuzione della domanda estera, a dimostrazione che la crisi si è fatta globale e che le politiche che vogliono i Paesi europei a vocazione esportatrice lascia il tempo che trova se non vi sono politiche industriali ed economiche che rendano anche la stessa Europa integrata sul piano produttivo e non repliche industriali la cui competitività è segnata solo dall'abbattimento dei costi che si fanno ripagare ai lavoratori, la cui diminuzione salariale non può che procurare, quale effetto retroattivo, un'ulteriore abbattimento dei consumi. Pensare, come taluni con velleità sostengono, che dovremmo particolarmente concentrarci sul mercato cinese non tiene in conto che le nostre produzioni possono solo essere percepite e ritenute di lusso e quindi rivolte verso un target piuttosto ristretto di popolazione, popolazione che non è propensa, per fortuna, al tenore dei consumi occidentali, dato che il PIL cinese è sostanzialmente prodotto dai massicci investimenti governativi nella produzione industriale a vocazione esportatrice verso l'Europa e gli Stati Uniti.
Insomma... un cane che si morde la coda. O meglio, un enorme videogame a definizione fantascientifica ed immaginifica che sta mostrando tutta la sua declinazione all'incapacità di un ceto dirigente che più che misurarsi sulla realtà si confronta con i propri sogni e le proprie aspettative metafisiche!

Sarà per questi motivi che un ceto politico che non riesce nemmeno a decidere definitivamente se dare un lasciapassare a Berlusconi oppure dirgli una volta per tutte che la festa è finita vuole invece pensare di essere in grado di decidere come modificare la Costituzione italiana.

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