giovedì 8 agosto 2013

Disoccupazione maschile e violenza contro le donne

de formato foetu’ 1631 di giulio casserio (ca. 1552-1616)


L'Europa, tradizionalmente ed in particolare quella meridionale, ha sempre avuto tassi di disoccupazione femminile più alti di quelli maschili. Ma adesso sembra che le tendenze, almeno in alcuni Paesi europei, si stiano modificando.






I dati di Giugno sulla disoccupazione nell'Unione Europea e nell'Area Euro ci dicono che la disoccupazione ha rallentato la sua crescita. Nella UE è il primo calo dal gennaio 2011: il tasso è sceso al 10,9%.
Nei 17 Paesi dell'area Euro, invece, la disoccupazione è lievemente diminuita al 12,1%, di appena 20.000 unità, segnando il primo calo dall'aprile 2011.
La disoccupazione è scesa in Portogallo Spagna e Irlanda, ma è cresciuta in Grecia e in Francia, a Cipro come in Olanda.
I dati relativi al PIL europeo che saranno mostrati a metà agosto non riserveranno sorprese: una tendenza alla stabilizzazione dopo le diffuse contrazioni degli ultimi 18 mesi.

Ad ogni modo, i tassi di disoccupazione rimangono troppo alti, e si stenta non poco a trovare una soluzione per ridurli. Naturalmente perchè (lasciateci fare questa piccola parentesi) la soluzione non può trovarsi nei paradigmi finora adottati ma richiede un salto di metodo che permetta, innanzitutto, di governare al meglio un fenomeno che stentiamo a prendere in considerazione per le resistenze che provengono dalla cultura economica classica, ed ovvero che siamo in decrescita forzata. Una decrescita indotta dalla globalizzazione, e che l'UE stenta per l'incapacità del ceto dirigente a governare. Ciò che riesce, e può riuscire unicamente a fare, è quella di controllarla, ma non di implementare politiche che possano, nella fase di decrescita strutturale, avviare politiche di governo dei processi di valorizzazione delle produzioni. Se a questo aggiungiamo le politiche di riforma del welfare che hanno ulteriormente impoverito il sistema, si capisce che le ricette neoliberiste stanno solo aggravando la situazione, nella pretesa di ridurne il danno che ne deriverà.
Finchè l'Europa non sarà in grado di formulare una politica economica e sociale specifica alla fase che sta attraversando, non potrà che inglobare il "rumore" che la globalizzazione induce e continuerà ad indurre, con il rischio ormai riconosciuto da tutti delle conseguenze sul piano dell'ordine pubblico che potrebbero innescarsi. Chiunque deride gli accenni di politiche di governo delle economie mature ed in fase di decrescita nelle forme non convenzionali e classiche è in malafede. La storia evolutiva, anche dell'economia, sta lì a dirci che è così. Uscire dalla produzione di massa e specializzarsi nelle produzioni ad alto valore economico (che non significa solo tecnologico ma in particolare di sapienza produttiva delle maestranze e di indirizzamento verso produzioni che specificano la qualità delle stesse con pertinenti ed ad hoc provvedimenti normativi), insieme ad una riforma del welfare verso impostazioni più eque, sono le soluzioni che prima o poi verranno messe sul piano del riconoscimento del consenso democratico.

Intanto, quello che nei tassi di disoccupazione europea sta emergendo è che la disoccupazione maschile, che storicamente è sempre stata inferiore a quella femminile, ha raggiunto ed in alcuni casi superato quella femminile. Qui un riassuntivo quadro.

In Svezia, per esempio, i disoccupati di sesso maschile sono 33.000 in più di quelli di sesso femminile, ed in Irlanda le differenze sono ancora più marcate: 10,5% di tasso di disoccupazione femminile contro il 18,1% di quella maschile. Certo, possono sempre obiettarsi le solite cautele relative alla costruzione di questi tassi, che sarebbe meglio confrontare con la numerosità per genere della popolazione attiva ed in età lavorativa. E' molto probabile che l'Irlanda, come accade nei Paesi europei meridionali, le donne preferiscano non lavorare e quindi non iscriversi alle liste pubbliche della disoccupazione. Ma queste culture, soprattutto fra i giovani, non hanno più tanto seguito.
Quello che però è emerso in uno studio  promosso dall'Università di Londra e l'Università di Monaco di Baviera è che un aumentodella disoccupazione maschile si correla positivamente con la diminuzione degli abusi e delle violenze contro le donne, e che l'aumento della disoccupazione femminile è positivamente correlata con un aumento delle violenze contro le donne.
Lo studio è stato condotto in Inghilterra e Galles su 20.000 intervistati fra il 2004 ed il 2011. In questa coorte (o gruppo di persone)  un 5% ha sperimentato abusi e violenze. Un terzo di essi erano uomini, che subivano abusi sia nelle relazioni etero che omosessuali. Il resto erano donne. Gli uomini sono più soggetti ad un abuso verbale, mentre le donne all'abuso fisico. I ricercatori, a fronte di questa dati rilevati dai diversi follow-up, hanno correlato queste cifre con i dati sulla disoccupazione per contea. Ebbene, è emerso che durante questi anni, con l'aumento di 3,7% di disoccupazione maschile è diminuita l'incidenza di abusi e violenze sulle donne del 12%. Mentre, con un aumento del 3% di disoccupazione femminile l'incidenza delle violenze è aumentata del 10%.

Le conclusioni cui giunge Jonathan Wadsworth, un'economista della Università di Londra e coautore dello studio, è che quando la disoccupazione maschile in un'area è più alta o tende a diventarlo, gli uomini sono più suscettibili a commettere abusi verbali e fisici contro le donne. Parimenti, quando la disoccupazione femminile si innalza, la soggezione di queste agli uomini aumenta ed insieme il rischio di subire abusi. A questo si aggiungono le conseguenze disintegranti  delle famiglie, i cui membri tendono a causa sia della perdita di lavoro che dell'innalzamento dei tassi di abuso a separarsi e divorziare.
Una crisi sulla crisi.

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