venerdì 12 luglio 2013

La parola e (è) il gesto

allegoria della melanconia - L. Cranach-1528
L'ultimo post di Pietro Acquistapace pubblicato qui, insieme a quello de Lo Spirito del Paese dei Balocchi anch'esso qui pubblicato, il post di Vincenzo Cucinotta redatto sul suo blog su Papa Francesco e la modernità, insieme a quello redatto dalla blogger di 18 Brumaio su La sommità della società borghese, insistono ognuno a suo modo su la contemporanea cultura dell'ex-posizione (al nascosto), che ci vuole attori e spettatori del mondo e non più agenti nei processi di trasformazione di esso, come già in parte scritto qui nel post Contro l'imperio dell'economia, e più copiosamente in Memoria o Storia, e che politicamente prendono la via dell'astensionismo (come descritto in La crisi della partecipazione politica).

Ma ancor più grave è quanto leggiamo da su La Croix a commento delle parole di Hollande qui sotto riportate:

"Nel 1905, il laicismo è semplicemente la separazione tra Stato e religione.Oggi, è un confine tra ciò che è l'intimo, che va protetto, e ciò che appartiene alla sfera pubblica che deve essere preservata. " 



L'intimità irrompe come questione nella produzione legislativa per la presunta tutela del privato, e che gli autori dell'articolo citato sopra interpretano come deriva autoritaria.
Oggi, qui, possiamo anche dire che la borghesia, e l'etica che ha saputo esprimere, sanciscono la loro scomparsa nel requiem finale che Hollande vuol comporre in suffragio della stessa.



Il gesto, come operatività che per quanto possa essere cogente per l'altro cui si rivolge, non esiste mai unicamente per lui, e non si compie definitivamente o preliminarmente nella comunicazione. Anche un volto senza testimoni ha la sua mimica, e l'impronta che più profondamente segna ed incide quella superficie ha origini proprie imposte se non dalla solitudine almeno dal colloquio con sè stesso. E' questa l'originarietà del gesto della parola. E se la parola è il gesto originario, allora ciò che è in questione, caro Hollande, è l'altra faccia del linguaggio, il mutismo dello stesso gesto dell'uomo parlante, il suo dimorare senza parole. Più l'uomo è provvisto di parole, più resta muto, più l'indicibile assume la sua gravità.
Questa parola intima e muta, gesto più proprio dell'uomo, dove il significato si fa enigmatico pur nella furia dell'espressione, e il linguaggio racchiude l'arcano e l'inespresso dell'enigma nello scenario del mistero stesso dell'intimo, questa Parola del Poeta viene espugnata alla mancanza della parola stessa, il suo gesto regolamentato. L'apoteosi critica della borghesia trova qui la sua massima espressione.

Le forme della vita perdono l'intimità, l'interiorità o (più semplicemente) la semplicità per ricacciarsi nell'insulsa piccolezza di ogni esteriorità (dell'ex-posizione), e che come tale smette di essere privata per divenire pubblica, e quindi legittimamente regolamentata ed ancor più pubblica. 

Ciò segna l'incongruenza della borghesia e del suo spirito: la sua contemporaneità ha perduto i suoi gesti (della borghesia). E', per ciò stesso, ne è ossessionata da essi. Se ogni naturalezza del gesto è sottratta agli uomini, il gesto stesso diventa destino. E se ogni gesto perde la sua disinvoltura sotto l'azione potente dell'esposizione e della sua regolamentazione, tanto più la vita diventa indecifrabile. Tanto più i gesti semplici e quotidiani divengono, nell'estraneità cui vengono ricacciati come gesticolamenti di marionette, azioni dell'altro, tanto più l'umanità si fa pronta per il massacro.

Questa parola, ripiegata nell'intimità del vivere qui ed ora (consumata come altri han scritto), diverrà solo figura della nulla esistenza umana dismettendo la via dell'autosuperamento in un altrove. Non troverà più luogo, non avrà più luogo dove potersi pronunciare. Non avrà più nessun segreto cui fare ritorno.

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