mercoledì 16 gennaio 2013

La solitudine dello zar e l’Europa che non c’è

Di seguito l’articolo che troverete anche su Most, la nuova rivista di East Journal.




 C’è crisi, c’è grossa crisi. E le ripercussioni sulle relazioni internazionali sembrano inevitabili, in particolare in un settore commerciale chiave come quello energetico. I prezzi salgono alle stelle, e l’acquisto di forniture diventa sempre più complicato, sia per il piccolo acquirente che per un grande acquirente come può esserlo l’Unione Europea. La politica energetica europea è ormai dominata da una parola che viene ripetuta come un mantra, forse anche come rituale scaramantico e beneaugurante, e che sembra voler dettare una linea di condotta a tutti i paesi membri: tale parola è diversificazione!

In particolare stiamo parlando di diversificazione delle fonti energetiche, ad oggi in gran parte consistenti nel gas venduto dalla Russia, o più precisamente dal colosso russo Gazprom, il che spinge l’Unione Europea verso il gas azero, legando la propria sorte ai sempre instabili equilibri della regione caucasica. Periodicamente vengono intraprese dall’Ue anche azioni contro Gazprom, accusato di monopolismo, come l’ultima dello scorso settembre che ha aperto un’inchiesta contro la compagnia russa che, se riconosciuta colpevole delle accuse sarà sanzionata con una multa pari al 10% del suo fatturato annuo, una cifra ingente pari a circa 150 milioni di dollari.
L’indagine nello specifico analizzerà il comportamento di Gazprom in alcuni paesi dell’Europa Centro-Orientale (Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Polonia, Romania e Bulgaria) dove il gas russo si è mantenuto su alte tariffe nonostante Mosca abbia invece concesso sconti a paesi europei come Francia, Germania e Italia. Sembra quindi che dietro la vicenda vi sia una questione politica che rischia di incrinare gli stessi equilibri interni europei.

Il procedimento mette Gazprom, e quindi Mosca di fronte a problematiche molto complesse, perdipiù in un contesto non felicissimo per la compagnia russa. Gazprom infatti si trova di fronte alla necessità di modernizzare le proprie strutture che risultano essere vecchie e sempre meno competitive. Per fare questo servono capitali e Mosca sta tentando di trovare un equilibrio tra l’apertura a investitori stranieri (in particolare per i giacimenti artici) e la volontà di non perdere il controllo che di fatto esercita sulla compagnia petrolifera. Proprio la questione delle “liberalizzazioni” sarà fondamentale nel futuro della politica russa. A partire dagli anni ’90 il governo russo si e’ mosso nella maniera esattamente opposta arrivando a monopolizzare il mercato energetico interno attraverso Gazprom; questo per combattere il potere detenuto da quelli che erano i “nuovi ricchi” figli dell’ondata liberista seguita alla fine dell’Urss. Ancora oggi questi “clan affaristici” hanno un peso non irrilevante e l’incrinarsi del controllo su Gazprom rischia di aprire falle pericolose nella politica di Vladimir Putin.

Tuttavia rischiare di perdere gli introiti derivanti dal mercato europeo rischia di decretare di fatto la fine di Gazprom, ed il fatto che il colosso russo stia pensando di scindersi per distinguere il ramo produttivo da quello distributivo sembra essere un chiaro segnale che le minacce europee non sono cadute nel vuoto. Tantopiù che per Mosca si profila anche un “pericolo cinese” con Pechino che non vedrebbe negativamente un’Europa più forte e indipendente ed una Russia in difficoltà. Russia e Cina infatti sono da tempo in stallo nella trattativa per il prezzo del gas che dalla Russia viene venduto al paese asiatico; Mosca vorrebbe legare il prezzo del gas a quello del petrolio mentre il governo cinese chiede sconti sul prezzo in base alla quantità di combustibile acquistato.

Vladimir Putin si trova quindi a dover gestire una situazione non certo facile, infatti se il mantenimento della struttura attuale di Gazprom potrebbe significare il tracollo della compagnia statale, d’altra parte l’apertura alle richieste europee (e cinesi) potrebbe significare di fatto una resa alla politica della quale è grande fautore il Presidente Medvedev ed ai grandi finanzieri russi. Il tutto complicato dall’importante operazione finanziaria con la quale Rosneft ha messo prepotentemente i piedi in BP.

Sull’altro versante della contesa anche la posizione europea non e’ semplice, dipendente per il 25% delle sue importazioni di gas dalla Russia e con una politica comune che fatica a nascere. Se la necessità di nuove fonti di approvigionamento la porta a dipendere dalle decisioni azere relativamente al futuro partner del consorzio Shah Deniz II, a confidare nella risoluzione tra Azerbaijan e Turkmenistan per lo sfruttamento dei giacimenti del Mar Caspio (con i due paesi partner dell’Unione Europea nel gasdotto transcaspico) e a ridimensionare il proprio progetto Nabucco dall’altra deve fare i conti con gli interessi particolaristici dei propri membri. E proprio la mancanza di una politica comune sembra essere il tratto distintivo della politica energetica europea, e proprio il fatto che le prese di posizioni più forti contro Gazprom vengano dai paesi dell’Europa Centro-Orientale è significativo di come il gas russo rischi di frammentare il panorama politico europeo.

Da un lato paesi come Francia, Germania ma anche Italia che hanno un relativo potere di contrattazione con Gazprom, dall’altro paesi come la Polonia o l’Ucraina del tutto dipendenti dalle importazioni provenienti dalla Russia. Il fatto stesso che le posizioni più forti contro il colosso energetico russo vengano dall’Europa Centro-Orientale rischia di creare, per non dire accrescere, la realtà di un’Europa a doppia velocità. L’Unione Europea deve anche fare i conti con la presenza di compagnie petrolifere che hanno forti interessi finanziari nella collaborazione con Mosca, creando delle problematiche politiche. Mentre l’UE investe su progetti come Nabucco l’italiana ENI è tra i principali partner di Gazprom in South Stream che di Nabucco è diretto concorrente; mentre Mosca minaccia l’Europa Centro-Orientale attraverso la chiusura dei rubinetti energetici forti interessi tedeschi sostengono North Stream, il gasdotto russo nato proprio per evitare il transito nell’Europa Centro-Orientale.

La politica di Mosca di favorire accordi bilaterali per le sue forniture energetiche di certo non aiuta la cooperazione tra stati europei: per una Bulgaria che in cambio dell’ingresso in South Stream ottiene da Mosca politiche energetiche di favore, c’è una Lituania che si appella all’abitrato della Camera di Commercio di Stoccolma denunciando il sovrapprezzo messo in atto da Gazprom. La Polonia, sostenuta dai paesi baltici, addirittura ha firmato importanti contratti energetici con il Qatar per importare gas e diventare una sorta di distributore per i paesi vicini, mentre l’Ungheria andando contro tutte le direttive europee miranti alla liberalizzazione del mercato decide di nazionalizzare la compagnia E.ON, che controlla il 65% del gas ungherese; per finire l’Ucraina, forse sfiduciata dalla protezione di Bruxelles contro Mosca, decide di rivolgersi direttamente al produttore interessandosi per un eventuale ingresso nel consorzio che gestisce il progetto TANAP.

Si potrebbe quindi prefigurare una spaccatura in seno all’UE tra paesi più propensi ad una collaborazione con Mosca ed altri che, anche per le loro vicende storiche, hanno con Mosca rapporti più problematici. La questione è delicatissima per i fini di una futura politica europea, e le possibili sanzioni contro Gazprom potrebbero mettere in discussione le politiche energetiche dei singoli paesi membri dell’UE, e proprio nel momento in cui la “battaglia per le pipelines” si fa sempre più serrata e vitale. Unione Europea e Russia rischiano di essere due grandi sconfitte dagli eventi e costrette a trovare accordi per reciproco interesse (e con un occhio alla Cina), ma in ogni caso la questione dell’”appartenenza” dell’Europa Centro-Orientale rischia di diventare oggi più che mai un fattore destabilizzante e foriero di complicazioni geopolitiche.

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