giovedì 6 dicembre 2012

L'AFFAIRE PACKAGING

foto di Ferdinando Scianna - Messico, merci in plastica


Mentre gli stabilimenti produttivi chiudono in tutto il continente, il distretto degli imballaggi intorno a Bologna resiste alla crisi e continua a crescere grazie a una forte cultura industriale radicata nel territorio. Così ricaviamo da Le Temps, giornale ginevrino.



Nello stabilimento del gruppo italiano Marchesini, alla periferia sud di Bologna, i 700 dipendenti inventano macchine che imballeranno i medicinali di Novartis, Gsk e Sandoz.  In  Emilia Romagna l'industria gira a pieno regime. Qui vengono concepite macchine automatizzate da una tonnellata che saranno spedite in Brasile, in Cina, in Sudafrica. "Siamo molto attivi nei paesi emergenti", riconosce Guido Rossi, responsabile della comunicazione della Marchesini.
Nel cuore di un'Europa alle prese con delle misure di rigore che minano le sue capacità produttive, il successo industriale dell'Emilia Romagna non si spiega solo con le esportazioni  mirate (1). "La forza dell'industria locale si basa anche su moltissime piccole imprese della regione, che creano una sorta di tessuto intorno a noi", sostiene Massimo Marchesini, fondatore nel 1974 del gruppo omonimo. Secondo lui questa struttura di piccole e medie imprese molto unite fra di loro permette di ridurre gli effetti di una crisi economica globale.

Così, mentre in Europa gli annunci di chiusura dei siti industriali  si moltiplicano (Peugeot, Petroplus, Alcoa, ArcelorMittal, ILVA di Taranto forse alla prossima puntata della telenovela, Arcelor Mittal, che vorrebbe fermare gli altiforni di Florange, in Lorena, la FIAT, ecc.), la produzione di macchine da imballaggio in Emilia Romagna non conosce crisi. La concentrazione di imprese attive in questo settore è tale che la zona intorno a Bologna è stata ribattezzata "Packaging Valley". Secondo uno studio delle banche locali Carisbo e Banca Monteparma, nel primo semestre 2012 questo settore presentava una crescita del 9 per cento rispetto al 2008. Fra il 2000 e il 2011 le esportazioni verso i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono aumentate del 260,4 per cento.

In passato questo comparto industriale era molto attivo nel campo della seta. Oggi la sua energia si è concentra nell'inscatolamento del caffè, delle sigarette (leader mondiale è il Gruppo Mais, che detiene circa il 70% del mercato mondiale), dei cosmetici, della pasta e del tè. Nella periferia orientale della capitale del ragù, la fabbrica del gruppo Ima emana odori di erbe selvatiche. Camminando sui resti di sacchetti di tè, Daniele Vacchi, direttore della comunicazione del leader mondiale dei produttori di macchine per imballare bustine di tè e tisane, osserva che "il 2011 è stato l'anno migliore dei nostri ultimi 50 anni. E il 2012 batterà tutti i record. Da due anni a questa parte abbiamo troppo lavoro". Del resto il numero di dipendenti è in crescita costante: da 3.129 nel 2010 si è arrivati oggi a 3.524.

"Il termine 'Packaging Valley' è un modo rapido per denominare qualcosa di complesso", spiega Vacchi. Lui pensa che "l'arma segreta" della regione vada cercata nelle relazioni fra le sue centinaia di piccole imprese. "Quando è arrivata la crisi, ci siamo aiutati e ci siamo dati fiducia a vicenda condividendo un tessuto di relazioni informali", racconta questo cinquantenne sminuzzando una bustina di tè. "L'economia è sostenuta dalla regione, che possiede una forte cultura industriale. L'Italia è soffocata dalla crisi, ma l'Emilia Romagna resiste".

Mentre in Francia il Rapporto Gallois ha rilanciato di recente il dibattito sull'industria francese e il modello per l'Europa rimane sempre l'economia tedesca, l'alternativa rappresentata dal modello industriale italiano è troppo spesso trascurato. Qui gli stipendi sono più bassi che in Germania, anche se il costo del lavoro è più alto. I sindacati locali dicono di temere la crisi e la minaccia di una precarizzazione della condizione degli operai (in particolare attraverso un aumento dei contratti a termine). Ma riconoscono che l'imballaggio "non conosce le stesse difficoltà" degli altri settori.

La buona forma dell'industria dell'Emilia Romagna ricorda che l'Italia possiede ancora delle risorse. Magari termovalorizzabili, settore nel quale non siamo secondi a nessuno. E' probabile che dopo avergli  venduto macchine per il packaging, poi gli vendiamo un po' di tecnologia termovalorizzabile dei rifiuti. In baffo all'E.R.O.E.I., ovvero dell'indice di energia necessaria per produrre un qualcosa, e dell'energia necessaria per smaltirla a fine vita, provando a recuperarne un po' (i termovalorizzatori sono inefficienti sul computo dell'indice E.R.O.E.I., ma esistono perchè almeno smaltisci (anzichè buttare in discarica) e ricavi parte dell'energia contenuta in quel rifiuto, che serve oltretutto anche per ammortizzare l'energia resasi necessaria per l'impianto termovalorizzante e per quella di mantenimento e funzionamento. Un affaire, appunto!

E se tassassimo  i rifiuti e gli imballi a seconda della rinnovabilità della materia prima con la quale sono stati prodotti? Immaginate tutti quegli imballi che conservano la "fragranza" dei cibi per la colazione... Se per ogni merendina scartocciata dal suo imballo in plastica l'azienda produttrice di merendine dovesse pagare molto di più dell'attuale contributo CONAI Plastica (e che poi paghiamo tutti noi quando le acquistiamo, oltre che pagarle una seconda volta nelle bollette TIA per lo smaltimento dei rifiuti), dite che compreremmo ancora le nostre beneamate merendine, divenute più costose per via della tassazione massiccia per l'imballo non rinnovabile che comunemente viene utilizzato? E immaginate questo per le acque in bottiglia di plastica, di cui noi italiani siamo forti consumatori... che ne dite se anzichè 30-40 cent di euro a bottiglia di acqua che attualmente paghiamo per acque oligominerali, cominciassimo a pagare 1 euro a bottiglia? Compreremmo ancora le nostre acque in bottiglia di plastica, o molto più semplicemente berremmo l'acqua potabile dei nostri acquedotti, così da essere ancora più afferrati nella tutela dei beni pubblici (o comuni, che dir si voglia)? Oppure ritorneremmo a quelle forme, ormai scomparse, dei venditori di bevande che ti portavano a casa la cassa di acqua in bottiglia di vetro... e la cui minore tassazione per il vetro (al 100% riciclabile) rispetto alla plastica almeno compenserebbe il fatto che un lavoratore con un furgoncino elettrico faccia il giro del quartiere a consegnare casse di acqua minerale?

Meditate, gente.. meditate. Come diceva un vecchio e famoso spot pubblicitario di una birra. 




(1) Oggi Spagna e Italia sono di nuovo in eccedenza. “L’eurozona somiglia sempre di più alla Germania”, constata Crédit Suisse. Tuttavia in questo modo Grecia, Spagna e Portogallo rischiano di non riuscire a sdebitarsi all’interno dell’eurozona, perché la Repubblica Federale Tedesca mantiene un buon vantaggio (seppur in forte ridimensionamento: come già scritto ed anticipato cliccando qui) . I paesi esportatori come la Germania o l’Olanda hanno reagito al calo dei costi di produzione nei paesi concorrenti dell’Europa del sud rivedendo i loro prezzi al ribasso. Questo spiega come mai i paesi dell’eurozona tentano la fortuna lontano dal continente e puntano sui mercati dell’Estremo Oriente e dell’America.
L’Ameria e l’Asia, che hanno optato per una strategia simile, la considerano una provocazione. Il presidente americano Barack Obama aveva annunciato che gli Stati Uniti avrebbero stimolato la loro crescita internazionale. Sul mercato europeo, però, la strategia Usa non funziona, e in agosto le esportazioni americane nel Vecchio continente sono rimaste invariate. Lo stesso è accaduto con le esportazioni in Cina. Anche al Giappone le cose non vanno benissimo, e quest’anno le esportazioni di Tokyo in Europa sono calate del 6 percento, mentre le importazioni dal Vecchio continente sono aumentate del 18 per cento.
Puntando sull’esportazione, l’Europa prova dunque a rosicchiare fette di mercato agli altri paesi. “L’aumento  delle eccedenze correnti nell’eurozona provoca uno shock negativo per l’economia mondiale”, commenta Crédit Suisse, perché aumenta il rischio di guerre commerciali. I grandi “blocchi commerciali” tentano di scaricare il costo della crisi sugli altri.

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