mercoledì 28 novembre 2012

IL MITO DELLA PRODUTTIVITA'

Mr Krugman (clicca qui per essere diretto al suo supervisitato blog, cosa per altro molto comune in questi tempi di chiacchiera economicistica), s'interroga sul declino produttivo ed economico dell'Italia, la quale rispetto agli altri PIIGS ha un tessuto produttivo e manifatturiero secondo in Europa solo a quello germanico. 


Paul Krugman, che è premio nobel come Obama e la stessa UE, critico dei cambi fissi e della New Economy del libero scambio globale in favore invece della reintroduzione di barriere doganali, ritiene che il declino economico, produttivo e finanziario dell'Italia, intervenuto dagli anni '90 in poi, sia principalmente dovuto a 2 fattori, uno principale, ed uno accessorio. Quello principale è l'introduzione dei cambi fissi e/o dalle fluttuazioni rigide fra le monete europee che aderirono allo SME che nel tempo si concretizzò nell'introduzione dell'euro, e quello accessorio delle politiche di Berlusconi (seppur in questo ventennio il nostro uomo è stato in ampia compagnia nel governo della cosa pubblica italiana, ma che dati alla mano dimostrano come egli sia stato l'uomo del debito pubblico rispetto ai governi di centro-sinistra ed in particolare del governo D'Alema, riconoscendo comunque che quest'uomo ha sempre governato in frangenti storici di crisi internazionale, eletto nel 2001 e nel 2008, dato che la parentesi del 1994 - 1995 è stata veramente poca cosa). Nel grafico che segue, fonte Eurostat, si potrà verificare come i governi di centrosinistra hanno contenuto il deficit annuo fissato dai parametri europei al 3% (che invece è sempre stato sforato dai governi di Berlusconi), ma si potrà anche verificare l'evoluzione del debito privato.


In Italia un fervente e di successo espositore di questo approccio è il prof. Bagnai, il cui blog è nel nostro blogroll. Dei suoi numerosi scritti, per chi volesse intendere la posizione krugmaniana di Bagnai sulle questioni della produttività (con sottili e pertinenti appunti metodologici), può leggersi questo vecchio scritto sull'argomento sul suo (di Bagnai) blog  cliccando qui.





Nel grafico esposto sopra (ripetuto), standardizzato il dato sulla produttività reale del lavoro per lavoratore al 2005 (fonte Eurostat), possiamo verificare la caduta della nostra italiana produttività rispetto agli altri paesi.

Mr Krugman per le sue esposizioni grafiche sembra utilizzare i dati economici ricavabili cliccando qui, il Conference Board Total Economy Database. E così qualche giorno fa produce questo bel grafico di confronto fra la produttività francese e quella italiana. Eccolo che segue


Fatto 100 (standardizzato ed omogeneizzato il dato di entrambi i Paesi) al 1970, la produttività italiana non è stata poi così brillante nelle sue performance. Gli anni nella quale vediamo superare la produttività per lavoratore italiano rispetto a quello francese è alla fine degli anni '70 (godevamo delle politiche industriali  energetiche e sociali avviate e consolidate dai governi di centrosinistra di caratura fanfaniana e morotea), attraversando pari tempo la crisi energetica e finanziaria (l'uscita dalla convertibilità in oro del dollaro nel 1971) di quegli anni, ed anche reggendo bene le sollecitazioni internazionali (e quelle nazionali) del terrorismo nero e rosso e delle forti lotte sindacali nei luoghi di lavoro.

Dagli anni '80 inizia un declino che tentiamo di sostenere attraverso le forti politiche inflattive (chi si ricorda dell'inflazione a due cifre?), l'esplosione del debito pubblico (raddoppiò e raggiunse il 90% del PIL), le politiche di svalutazione della lira, e la contrazione dei salari e degli stipendi attraverso il famoso "decreto di San Valentino" che taglio di 3 punti la scala mobile (seppur è da riconoscere che in quegli anni i salari aumentarono anche più dell'inflazione, che a fine degli anni 80 scese intorno al 5-7%). Insomma, una serie concertata di fattori e di interventi politico-economici riescono a limitare i danni di un apparato produttivo privato frammentato e piccolo industriale e non organizzato in maniera sistemica, fatto di una competitività drogata (sic!) dall'inflazione, dalla svalutazione e dalla contrazione, seppur lieve, dei salari e degli stipendi... e dal massiccio intervento del debito pubblico per il sostegno dei consumi.

Ma come si dice, il rattoppo è spesso peggio dello strappo. Ed infatti, negli anni '90 usciamo dallo SME e dai cambi fluttuanti a oscillazione fissa, svalutiamo la lira massicciamente, chiudiamo definitivamente con la scala mobile e introduciamo la concertazione, e ritorniamo ad essere competitivi. L'inflazione che sarebbe sta indotta dalla massiccia svalutazione monetaria (che rese i nostri prodotti competitivi sul piano esclusivamente della convenienza di prezzo) fu contenuta dalla massiccia contrazione dei salari e degli stipendi, che da quegli anni hanno sistematicamente diminuito il loro potere di acquisto. 
In termini sistemici gli effetti delle retroazioni positive (feedback positivi) intervenute attraverso la svalutazione della lira, e che avrebbe reintrodotto una forte inflazione interna, furono calmierati con l'introduzione di feedback negativi attraverso la riduzione del potere di acquisto delle retribuzioni. Per chi volesse approfondire sulle dinamiche sistemiche può cliccare qui e farsi un paio di ore di lettura. Una traduzione in italiano è possibile rintracciarla cliccando qui. Altrimenti può anche leggere cliccando qui dell'altro, consigliato anche se un tantinello più difficile per chi non mastica un po' di fisica da qualche tempo, ma che rende meglio l'idea dell'isola dopo la deriva cui sono approdati gli economisti e tutti i consiglieri del principe. Poi, se non l'avete fatto già, leggetevi La Nave dei Grulli per comprendere il nesso fra imprenditorialità, innovazione, organizzazione e flussi di conoscenza del neocapitalismo.

In questa sede, possiamo fare un esempio spicciolo di cosa s'intende per feedback positivo e negativo. Immaginate il galleggiante del vostro sciacquone. Ecco, esso funziona come un elementare feedback negativo, che regola il flusso di entrata dell'acqua nel serbatoio, interrompendolo quando viene raggiunto il livello. Un altro più complesso è il vostro regolatore di temperatura dei riscaldamenti in casa. Si fissano delle costanti, dei parametri, e al raggiungimento di quei parametri la vostra caldaia si arresta dal bruciare metano e riscaldare l'acqua nei termosifoni che riscaldano l'ambiente. In economia la legge della domanda e dell'offerta (e la regolazione dei prezzi a seconda della flessibilità della merce in questione) dovrebbe da manuale funzionare come la piattaforma dove feedback positivi (competitività del prezzo dovuta a maggiore produttività per minore costo del lavoro, innovazione tecnologica, politica monetaria inflattiva, ecc) e feedback negativi (leggi antimonopolitistiche, internalizzazione dei costi ambientali e di sicurezza, veridicità dell'informazione pubblicitaria e tutta una serie di norme che rendono il meno possibile asimmetrica l'informazione economica della merce e le inefficienze del mercato) regolano efficientemente l'incontro fra la domanda e l'offerta e la stabilizzazione più certa possibile del prezzo. Se naturalmente la democrazia non funziona... è chiaro che tutto va a farsi friggere. E questo tutto non è manco commestibile. 

Quindi, i cicli negativi di feedback servono per correggere i cicli positivi di feedback. Un altro esempio? Gli incentivi al fotovoltaico: quando furono introdotti erano molto generosi (il costo di produzione era comunque ancora molto alto), e un incentivo a qualcosa funziona come feedback positivo. Solo che non si pensò (diciamo per ingenuità, ma anche per volontà) di correggere i forti rendimenti finanziari derivanti dall'installazione di impianti fotovoltaici con l'introduzione di feedback negativi, come ad esempio quelli che sono stati, in parte, introdotti nell'ultimo V Conto Energia, il quale prevede un tetto massimo di produzione incentivabile, privilegia la piccola installazione e l'autoconsumo, privilegia gli interventi complessi e generali di risparmio energetico e/o il disinquinamento dei materiali di costruzione delle costruzioni più vecchie (vedi amianto). Nel frattempo, dalla metà degli anni 2000, circa 12 gigawatt di potenza fotovoltaica sono stati installati, spesso sottraendo terreni agricoli ai loro scopi produttivi primari per farci grandi parchi fotovoltaici posseduti da fondi d'investimento internazionali. Infatti, di questo potenziale fotovoltaico già installato, l'80% è costituito da grossi centrali produttive che gravano, in termini di incentivi, sulle nostre bollette elettriche per quasi 7 miliardi di euro all'anno, incentivi che sono concentrati in poche mani di produttori di energia e non diffusamente per gli italiani, che da questi incentivi traggono solo parte (poca) di guadagno, mentre i grossi gruppi finanziari ed energetici hanno impianti fotovoltaici che hanno TIR (rendimenti medi annui) del 20% e che in 4-5 anni hanno ripagato l'investimento... per gli altri 15 anni di incentivazione prevista è tutto grasso che cola, ovvero rendimenti del 20% annui quasi puliti (un po' di manutenzione vogliamo farla?), roba che un imprenditore di sognerebbe la notte. Sappiamo come è andata a finire per il fotovoltaico italiano ed europeo: tutti a casa!!!, e fine del settore e della filiera in soli 5 anni... i tempi classici del ciclo di vita di un prodotto finanziario, e non industriale. 

Ma ritorniamo alle nostre questioni sulla produttività e competitività delle produzioni italiane. Se andiamo a rivedere il grafico di sopra, noteremo che con l'introduzione dell'euro, e quindi del cambio fisso, la produttività italiana (e quindi la sua competitività nei mercati globali) subisce una picchiata drastica: siamo a quasi 10 punti in meno di produttività rispetto a quella francese. Rispetto a quella polacca siamo quasi al 20 punti in meno, ma lì in Polonia la competitività la dettano i bassi salari. 

Eppure, come potete vedere da voi nel grafico qui affianco, le ore lavorate per lavoratore italiano sono maggiori di quelle germaniche e francesi.













E se non ci fosse l'euro e la moneta mondiale fosse ancora il dollaro (come in buona parte ancora è, se Moody's attribuisce ancora tante A agli USA per via delle cannoniere sparse per gli oceani), la produttività italiana per lavoratore sarebbe quasi in linea con quelle degli altri Paesi europei a tradizione industriale e manifatturiera.












E sempre standardizzando la produttività in dollari, però emerge che la produttività oraria italiana  è di molto diminuita: noi produciamo 15 dollari all'ora meno dei francesi. E il declino è cominciato dagli anni '90 per andare a stabilizzarsi nel nuovo secolo con l'introduzione dell'euro. 
Ci siamo capiti o dobbiamo essere più efficaci nella parola?

Allora, nonostante le politiche di svalutazione della lira finchè essa era valuta in corso che favorivano le esportazioni e la competitività delle produzioni italiane nei mercati globali, nonostante i lavorati italiani lavorano di più dei colleghi germanici e francesi, con salari più bassi e anche di parecchio... le nostre merci non valgono un cazzo!!! Chiaro il concetto?!

Come diceva la regina Elisabetta, non è assiomatico che le persone di fede abbiano il monopolio della virtù. 

Già il decreto di San Valentino, menzionato sopra, fu sottoscritto dalla CISL e dalla UIL, e la CGIL insieme all'allora PCI promosse un referendum (poi perso) che finì di sancire la fine programmatica e politica di una sinistra che aveva cominciato a cucinarsi fin dai tempi della espulsione di Silone dal partito. Poi, a leggere questi dati, insomma... è semplicistico sostenere che tutte le colpe sono di Berlusconi (e colleghi dell'altra parte) e soprattutto dell'euro come moneta unica, poichè anche senza cambi fissi le politiche di correzioni dei cicli negativi intervengono nelle economie fra loro interrelate. Come altrimenti spiegarsi le migrazioni italiane verso i Paesi europei fino agli anni '80? Solo perchè noi eravamo più poveri e senza lavoro? E le migrazioni intranazionali sono spiegabili solo perchè in Italia c'era una valuta unica? Forse una lira del sud avrebbe favorito lo sviluppo economico del Meridione? O le gabbie salariali (ve li ricordate, chi è più vecchio e non ancora rimbecillito come alcuni nostri autorevoli rappresentati) perchè non trovarono spazio di applicazione? Solo perchè l'Europa ce lo vietava, o perchè avrebbe dato spago ad una maggiore sperequazione dei redditi rispetto a quella già fortemente esistente nel territorio nazionale?

Noi avanziamo alcune suggestioni. Per esempio, che gli imprenditori italiani, sempre per effetto dei cicli positivi di feedback non corretti dai cicli di feedback negativi perchè andava di moda la deregulation e tutta la piripera che potete leggere sul post Privatizzazioni, sono stati accompagnati (diciamo così) invece che a investire in innovazione di prodotto e di processo a speculare in investimenti esteri (il mito della europeizzazione degli istituti di credito italiani, la delocalizzazione produttiva, ecc ecc), in immobilizzazioni (i saccheggi edilizi che adesso procurano i danni che procurano appena viene giù un po' di acquerugiola)... e in commistioni di carattere di ordine pubblico (tanto per tenerci larghi e non specifici). 
Meglio aprire pizzerie in Romania, comprare appartamenti e case  e terreni poi da rendere edificabili, meglio esternalizzare i costi ambientali e di sicurezza (chi se ne frega se 1000 persone l'anno muoiono sul lavoro e 4 si infortunano... tanto poi sono affari del Monti di turno trovare i quattrini. Chi se ne frega se a Taranto si deve lavorare ipotecando la salute della città e oltre... tanto gli mettiamo un ospedale oncologico che poi magari privatizziamo e ci facciamo soldi anche da lì), meglio avere la burocrazia che ci troviamo così non dovremo difenderci dai nuovi player produttivi che possono accedere al mercato con maggiori facilità e magari romperci le uova nel paniere, meglio liberalizzare la produzione di energia senza però agganciare questi investimenti al risparmio energetico e finalizzare la produzione all'autoconsumo, meglio il Santo Graal dello sviluppo industriale del Nord Italia fatto dai massicci ingressi di extracomunitari da quelle aree del mondo che si stavano già depredando e dove magari gli si insinuava una guerra fra bande dove poi inviargli i nostri soldati a fare i "peacekeeper", meglio far riempire le case degli italiani di rate del mutuo per delle case inefficienti pagate a peso d'oro e di tante TV a buon mercato comprate con le rate da 30 euro al mese, meglio deprimere lo stato di diritto e la governance dei territori, come nel grafico che segue prodotto dalla Banca Mondiale (i cattivi di turno, insieme agli altri)


Come è possibile leggere da sè gli indicatori di performance di governo italiano, nei confronti dell'area europea, siamo a livelli da ex Paese del Patto di Varsavia. 
O se preferite, sempre ritornando a ragionare sui feedback positivi e negativi, abbiamo acceso i riscaldamenti, fissato la temperatura a 20 gradi Celsius (invece che ai 18 previsti dalla legge) e spalancato tutte le finestre. 
In un Paese così non servirà neanche sacrificare i nipoti per riprendersi, e neanche retribuire i lavoratori con salari e stipendi ai livelli serbi, neanche cinesizzare il diritto del lavoro e i diritti di cittadinanza. E neanche uscire dall'euro, ritornare a svalutare, stampare cartamoneta, ecc ecc. 
Lasciamo ad ognuno di voi proporre cosa e come, se il sistema non è andato nel frattempo in apoptosi, come l'ultima letteratura d'avanguardia sembra invece indicarci. 

1 commento:

N.O.I. - Nuova Officina Italiana ha detto...

Mr krugman dice che, salvo alcune questioni relative al lavoro nero, ai monopoli e alle posizioni di rendita, all'arretratezza informatica, l'Italia continua ad esportare e poi non è così messa male perchè non ha grosso debito privato e non c'è la bolla immobiliare come in spagna(sarà della metà???).
L'originale di quello che ha scritto ieri è a questo link

http://krugman.blogs.nytimes.com/2012/11/28/more-about-italy/